
Sono nato nel 1987, l’anno in cui Nilde Iotti diventava la prima donna Presidente della Camera e gli U2, con Joshua Tree, scalavano le vette delle classifiche musicali mondiali.
Sono cresciuto ad Oregina, un quartiere popolare sulle alture del centro di Genova. Il quartiere di Guido Rossa e di Padre Agostino Zerbinati. Un quartiere nel quale socialismo democratico e solidarismo cristiano hanno avuto la capacità di camminare insieme quando il mondo sembrava andare in un’altra direzione. Un quartiere intriso dei valori della Resistenza, dove il coraggio delle scelte lo si impara da bambini, leggendo i nomi delle strade andando a scuola.
Ho scoperto il significato della parola giustizia grazie alla passione missionaria di Don Prospero Bonzani, formidabile educatore, sulle cui lezioni, ancora oggi – dopo tanti anni – mi fermo a riflettere.
Penso di aver incontrato così la politica, come necessità per rispondere a un bisogno che qualcuno aveva suscitato in me. Ho iniziato tra i banchi di scuola, nel movimento studentesco, quello che reclamava a gran voce un ruolo da protagonista nei processi di formazione e apprendimento, difendendo l’istruzione pubblica in quanto garante dell’emancipazione sociale di tutte e di tutti.
L’impegno in una forza politica organizzata è arrivato ben dopo, anche se, guardandomi indietro, gli anni iniziano a essere tanti.
Ho aderito al Partito Democratico convinto che nulla si potesse risolvere stando in disparte, impegnandomi in prima persona anche quando non ne condividevo alcune scelte e alcuni modi. Quando non mi capacitavo della timidezza verso l’accoglienza di chi fuggiva dall’inferno attraversando il mare. Quando avvertivo l’inadeguatezza nel dare voce a un mondo del lavoro che cadeva in forme nuove di sfruttamento, precarietà e insicurezza. Quando non comprendevo il senso del taglio della rappresentanza senza un bilanciamento di democrazia. Quando egoismi e personalismi hanno portato a scelte incomprensibili e a sonore sconfitte.
Da quando ho ricevuto il primo incarico politico nel mio Circolo non mi sono mai fermato. Un impegno crescente, a tratti totalizzante, fatto di difficoltà e al contempo di soddisfazioni, umane e politiche. Da Segretario di Circolo sino all’esperienza in Segreteria, avanti e indietro da Cogoleto a Camogli, passando per Rossiglione e Busalla. Centinaia di assemblee nei circoli, in città e in “provincia”, per un confronto generazionale che sta alla base di una comunità.
Ma ho sempre pensato che nulla si potesse risolvere stando in disparte, esserci è sempre stato per me un dovere, con l’atteggiamento di chi ama stare un passo indietro, preferendo le parole e gli incontri alla visibilità mediatica.
È con questo spirito, il desiderio di stare in mezzo alle persone, che nel 2021 ho accolto la richiesta proveniente da tanti ragazzi e tante ragazze desiderosi di costruire un patto intergenerazionale e combattere le disuguaglianze sempre crescenti nella nostra società e nella nostra città, candidandomi come Segretario Metropolitano.
Una sfida che siamo riusciti a vincere: grazie a una rinnovata agenda fortemente progressista abbiamo messo al centro del nostro agire la lotta alle crescenti disuguaglianze, con l’idea di impegnarci per una città in grado di creare opportunità e dare fiducia e speranza a tutte e tutti coloro che, soprattutto negli ultimi anni, sono stati abbandonati e dimenticati. A chi ha voglia e diritto di costruirsi un futuro, senza dover scegliere tra arrendersi o andarsene.
Nel 2022 mi sono candidato in Consiglio Comunale, mettermi al servizio dei cittadini e delle cittadine genovesi, Un naturale proseguimento del mio impegno, perché vorrei che Genova tornasse ad essere una città capace di costruire uguaglianza, diritti e opportunità per tutte e tutti, una città attenta ai bisogni dei più fragili, una comunità.
Come consigliere e capogruppo del PD porto avanti una ferma opposizione all’amministrazione Bucci, combattendo per gli stessi ideali che contraddistinguono la mia azione come Segretario: affinché Genova possa essere una città in cui scegliere di restare e non da cui scappare per la mancanza di futuro e opportunità.
Perché, prendendo in prestito le parole di Antonio Gramsci al fratello Carlo:
«anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio».